domenica 9 novembre 2008

Don Milani: "L'obbedienza non è più una virtù". "Una scuola ha il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice."


"Cosa dovrebbe contare di più, per noi, professore, l'anno accademico o il futuro che ci stanno togliendo? La punizione per la ribellione o la consapevolezza che ci ribelliamo contro un'ingiustizia?".
"Un professore", direbbe Don Milani, "deve ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto". Una scuola, direbbe Don Milani, ha "il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice".
Processato per aver ostinatamente insegnato il valore della disubbidienza civile e sostenuto la causa dei giovani che affrontavano la galera, piuttosto che andar soldati e tradire i loro ideali di pacifisti, Don Milani, ormai moribondo, accusato di apologia di reato, imparti ai suoi giudici l'ultima, la più serena e la più duratura delle sue lezioni.
"Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona", sostenne con lucida fermezza. "La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste".

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